Khi Yung Fong, Joseph Jonathan Zhaoa et al.

Liver Cancer 2022 Aug 23;12(1):7-18

CANCER IMMUNOTHERAPY
Sintesi

Sorafenib ha rappresentato lo standard di cura per l’aHCC fino alla sostituzione di questa storica target therapy di prima linea con la combinazione terapeutica tra l’inibitore della morte cellulare programmata Atezolizumab (Anti-PD-L1) e l’inibitore del fattore di crescita vascolare endoteliale Bevacizumab (anti VEGF) esaminata dallo studio IMbrave 150.Tale studio ha dimostrato l’efficacia di questo nuovo standard di cura in termini di sopravvivenza complessiva (OS) rispetto a Sorafenib.Per la metanalisi sono stati identificati 4.321 articoli. Gli studi clinici presi in considerazione sono stati 12 per un totale di 9.589 pazienti. I risultati di questa metanalisi più aggiornata confermano l’efficacia dell’associazione di anti-PD-L1 e un anti-VEGF ovvero Atezolizumab - Bevacizumab (Ate-Bev) e Sintilimab (AntiPD-(L)-1) – Bevacizumab (anti VEGF).

Questa combinazione farmacoterapica ha raggiunto OS significativamente superiori a tutti gli altri trattamenti tranne verso la combinazione farmacologica di una singola dose iniziale di Tremelimumab, ossia un inibitore di CTLA-4 (antigene 4 associato ai linfociti T citotossici) con Durvalumab ossia un anticorpo anti-PD-L1 (Tremelimumab- Durvalumab T300+D) terapia descritta ed analizzata dal trial HIMALAYA, che propone risultati comparabili.

La dose iniziale di Tremelimumab seguita dalla monoterapia con Durvalumab, ha consentito la riduzione degli eventi avversi che possono svilupparsi con l’uso prolungato di Tremelimumab. In generale la monoterapia contro l’aHCC viene riservata ai pazienti intolleranti alle terapie combinate per effetti avversi elevati, legati soprattutto all’uso di farmaci anti-angiogenici con presenza di varici ad alto rischio di sanguinamento. Attualmente le linee guida 2022 del Barcelona Clinic Liver Cancer (BCLC) hanno ampliato le opzioni di monoterapia, riservate ai pazienti che non tolleravano terapie combinate a causa di un elevato rischio vascolare, introducendo Nivolumab e Durvalumab come terapie di prima linea in aggiunta a Sorafenib e Lenvatinib. Il National Cancer Comphrensive Network (NCCN), tuttavia, riserva il Nivolumab per i casi di ineleggibilità alla terapia con TKIs o altri agenti anti-angiogenici. Da evidenziare sono anche i benefici relativi alla sopravvivenza libera da progressione (PFS) e alla sopravvivenza complessiva della terapia combinata con Atezolizumab e Cabozantinib, un inibitore della Tirosina Chinasi (TKI), studiata nel trial Cosmic – 312 nel sottogruppo di pazienti affetti dal virus dell’epatite B (HBV). Questa metanalisi ha riscontrato, inoltre, un altro fattore decisionale per la scelta della terapia contro l’aHCC, l’Alpha-fetoproteina (AFP). Pazienti sottoposti a trattamento T300+D con AFP ≥ 400ug/L hanno mostrato una OS più elevata rispetto al trattamento con anticorpi Anti-PD-(L)1/VEGF. Anche l’eziologia non virale nei pazienti ha determinato una OS più elevata con il trattamento a base di T300+D e Nivolumab. Sono comunque necessari ulteriori studi a lungo termine e di follow up per valutare il profilo terapeutico e gli effetti collaterali delle terapie combinate e monoterapie impiegate nel trattamento dell’aHCC, soprattutto oltre i 40 mesi, Si raccomanda di tenere conto dei diversi fattori clinici presentati dal paziente per identificare la terapia migliore rispetto a quella di default Anti-PD-(L)1/VEGF.

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